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Calliope

Calliope
Inno all'arte che nel nostro sangue scorre.

domenica 30 settembre 2012

"Ninna nanna del padre assente " ed 2010 copyright by Am Vezio




Ninna nanna di un padre assente

Cantavo lenta lenta
una nenia di paese
cullavo i sogni tuoi
e coloravo immagini
di bimbo sulle nuvole
che scivolava morbido
sul lungo arcobaleno
Cantavo lenta lenta
e ti mostravo braccia larghe
di padre forte e attento
davanti al tuo cammino
Cresceva la canzone,
si allargava nei colori
del tempo tuo maturo
e sempre ti mostravo
giocose nuvole a cavallo
di arcobaleni morbidi
e braccia forti e larghe
di padre all’orizzonte
Cresceva il mio bambino
e di immagini cullava
il lungo suo cammino
All’orizzonte ci arrivava
e braccia non trovava
di padre forte e attento
Cantavo, allora ancor più forte,
la voce mia copriva
l’assenza del calore
laggiù, dove il colore
del lungo arco tinto
lasciava grande macchia
e un buco nel terreno
Ti ho stretto fra le braccia,
bambino mio cresciuto,
cullato i sogni tuoi
con nenie di paese
Cantavo strofe nuove
inventate nel mio petto
e nell’ingenuità di mamma
t’illudevo,
ma l’ ho fatto per affetto,
di trovare sul cammino
l’essenza di tuo padre
Perdonami bambino,
mio, cresciuto dentro il petto,
se il padre che vorresti
non t’ ho saputo dare
Perdonami, se nenie
di paese canto ancora
e se altre lascio nascere
nella strizza del mio cuore.

Un "gratificante" racconto - IL PILOTA DI AEROPLANI - Antonio de CurtisSono passati quattro anni dalla prima pubblicazione, merita una spolveratina e un giretto, la bella "scrittura" non deve fermarsi, mai. Consiglio la lettura.


Era venuto ad abitare vicino a noi una nuova famiglia, tante persone; abitava l'ala di quel vecchio palazzo gentilizio proprio di fronte a quella che abitavo io; però il loro appartamento era molto più grande del mio.
Gente riservata, educata, brava ... sembravano. ...
Gente misteriosa … che suscitava la curiosità del vicinato … si vedeva quasi solo una signora giovane quando andava a fare la spesa alla “puteia”.
Un giorno, qualche settimana dopo che erano venuti … scoprii che c’era anche un bambino della mia età, 7/8 anni. Anche lui mi vide. Un bel bambino, tutto vestito bene pulito ordinato … forse per questo mi risultò un poco antipatico … tuttavia la curiosità fu più forte, attraversai il terrazzo interno che correva lungo tutto il perimetro dell’edificio e mi fermai un po’ prima di dove cominciava la sua casa.
Anche lui si era avvicinato.
Gli domandai sei figlio di quella famiglia ? si! mi rispose lui … Io sto di casa là di fronte; e io abito qua. Io mi chiamo Mimmo; io mi chiamo Enrico; quanti anni tieni; io 8 e tu?; anch’io; che classe fai ? devo fare la terza, e tu ? anch’io; allora andremo a scuola insieme; forse … e via cosi ci impegnammo in uno scambio di informazioni che in qualche modo salutavano la nostra conoscenza.
Finché io non dissi che mio padre era una persona importante; e lui mi disse che lo era di più suo padre; ed io dissi non so cosa del mio papà e lui ribattè ancora che il suo lo era di più … insomma una gara a chi avesse il papà più ... bello.
Enrico era soverchiato dalla mia abilità nel presentare al meglio le qualità del mio papà.
Ad un certo punto, per dare la stoccata finale, dissi “Mio padre fa l’ingegnere” – in realtà papà era un geometra, ma in paese tutti lo chiamavano ingegnere.
E lui, pensando di prendersi finalmente la rivincita, mi rispose tutto orgoglioso
“Il mio papà invece pilota … di aeroplani!”
Restai colpito assai; mai avevo pensato di poter stare vicino ad un pilota di aeroplani.
Ma non potevo permettere che il suo papà fosse più del mio. Allora dissi:
“Sì il tuo papà li porta gli aerei ma gli ingegneri li costruiscono. Se non ci fossero quelli come il mio papà il tu non farebbe niente” …
Enrico scoppiò in un pianto dirotto … non mi sembrava di aver fatto niente di male …
Al pianto del bambino si aprì una porta e uscì una signora. Appena la vidi, pensando che mi avrebbe picchiato o almeno sgridato, scappai …
Qualche ora dopo, ero nel cortile a bighellonare in attesa che arrivassero altri ragazzi, mi sentii chiamare
“Bambino, bambino” mi girai intorno e vidi quella signora del mattino che dal terrazzo antistante la sua casa sembrava chiamasse proprio me … non c’era nessun altro …
Dissi:”Chi io ?” “Si - mi rispose- vieni un attimo su.“
Temendo che volesse punirmi risposi
“E perché? che devo fare ?”
“Enrico ti vuole dire una cosa”
Nonostante temessi, non mi seppi sottrarre, oltretutto ero l’unico che lo conosceva.
Salii. La signora mi attendeva davanti alla porta;
Mi disse “Vieni!”
Sempre con un po’ di timore la seguii.
Entrammo in casa e poi in un’altra stanza, tutta bella pulita, c’era anche un banchetto col calamaio come a scuola.
Lui mi aspettava vicino alla finestra. La mamma, quella signora, disse vado a prepararvi due biscottini.
Allora Enrico si avvicino e mi disse: “Ti devo dire una cosa: il mio papà è morto”
Provai un dispiacere immenso.
Allora gli dissi “Era più importante il tuo papà, il mio non era proprio ingegnere, lui non fa gli aeroplani …”
Allora entrò la mamma col vassoio con biscottini e caramelle … me ne offrì ma io non mi sentivo del tutto a mio agio.
Enrico forse se ne accorse, ne prese un pugno e me lo ficcò in mano.

venerdì 28 settembre 2012


Se fossero ali i colori della mia anima, sarebbe un abbraccio questo mio pensiero.

(Particolare di Angeli in ascolto olio su tela 80x70)

Am Vezio

Fides da "Lettere"ed. 2012 copyright by Am Vezio

Scrivo, ma forse prego,
con le dita strette sulla penna
come mani giunte in preghiera
All’infinito affido
i miei bisogni e le mancanze
e, ognora, una risposta aspetto
Chiedo sempre,
con fiducia e con costanza
che l’attimo futuro
sia migliore del presente
così come i presenti
furon meglio dei passati
E il giorno che, or ora viene,
mi si mostra sempre nuovo,
impertinente mi ricorda
che ieri, è già “passato”
lontano è abbastanza
da mostrarmi ch’è reale,
che l’oggi è bello e gravido
di quei momenti
che appena poco fa,
erano soltanto
lampi di promesse.

da "Lettere"ed. 2012 copyright by Am Vezio

martedì 25 settembre 2012

LA SIGNORINA ELISA (2a Parte Antonio de Curtis)

A conti fatti avrò avuto 4 anni.
Ho una sorella di 2 anni minore di me, quindi allora aveva 2 anni.
Mia mamma era sola ad accudirci …
Allora scuole materne, asili nido … i nidi erano tanti, quasi ogni albero ne portava un paio, ma di asili … nemmeno la parola.
Era difficile tenerci a freno, io più grande facevo il prepotente e scocciavo mia sorella … quando mamma non vedeva. Quella incominciava a piangere ed insomma …
Mamma aveva fatto amicizia, con la a famiglia “nobile” del paese, gente di antico lignaggio, abituata a essere importante … comunque … ed una anzi due componenti la famiglia, zia e nipote, erano maestre elementari e la più anziana, “la signorina Elisa”, insegnava proprio nella scuola del paese.
Signorina, sì, perché non era sposata: bassa, col gobbo, un viso stregolino, benché nobile … non aveva trovato.
Per la verità, c’era stato un disgraziato che,fatto i suoi calcoli, si era fatto avanti … ma lei sdegnosamente: “Quello zotico ? …”
E così era rimasta signorina.
Signorina proprio … da metterci la mano sul fuoco, … quello del camino.
Ma torniamo a noi.
Mamma pensò bene ad un asilo ante litteram: chiese alla signorina Elisa se mi avesse tenuto con lei in classe la mattina.
E così, a 4 anni, finii nella seconda elementare in mezzo a ragazzi tanto più grandi di me.
La maestra mi aveva fatto sedere al primo banco, proprio vicino alla lavagna.
Per potermi tenere sempre d’occhio.
Io a disagio e impaurito stavo fermo e quieto anche se mi scocciavo assai; ogni tanto, quando gli altri scrivevano, io col “lapis” – si chiamava così, la matita - col lapis facevo qualche scarabocchio sul quaderno a quadretti che mamma mi aveva comprato apposta; o mi fermavo a esaminare il calamaio di zinco semipieno di inchiostro infilato nel buco del banco; o la penna col pennino “a cavallotto” del ragazzo più vicino … che faceva macchie se non la intingevi bene … insomma andavo scoprendo quel mondo semioscuro, silenzioso, dove imperava la maestra. La padrona e signora di quei 40 metri quadrati e di quella piccola truppa di ragazzi innocenti.
Ogni tanto mi veniva vicino a guardare cosa stessi facendo … come tenessi il quaderno … aveva sempre qualcosa da rimproverarmi … avevo paura anche di mettermi a piangere … sempre con la sua riga in mano, pronta ad usarla …
E la usava. E spesso. Erano i momenti più tristi, che quasi quasi avrei voluto scappare ma la paura mi teneva inchiodato nel banco.
Mi ricordo di un ragazzo, il più grande, forse 12 anni, “il più ciuccio” come diceva la maestra, figlio del mulattiere del paese. Un ragazzotto, bianco e rosso, l’immagine della salute, alto e robusto, sovrastava la rachitica maestra di un bel po’.
Dalla mia terrazza, lo vedevo passare a volte sul suo mulo, seduto con i piedi pendenti dallo stesso lato, le briglie in mano, la piccola frusta … ogni tanto tirava le redini, o dava una pacca sul collo all’animale: un re sul suo destriero! …
L’avevo visto una volta guidarlo, il mulo, col suo basto di pezzi di tronchi … con sicurezza tra le pietre della collina … e l’animale che lo seguiva docile. Michele –nome posticcio, quello vero non me lo ricordo più – Michele lavorava col padre … tante volte non veniva a scuola … e la signorina Elisa si arrabbiava.
E quando si arrabbiava era botte, e delle peggiori.
Ogni occasione era buona per usare la sua “riga”.
La “riga” era una stecca di legno lunga poco più di 1 metro, larga 4/5 cm e spessa mezzo centimetro. Il terrore di tutti i ragazzi.
Ricordo una volta, Michele alla lavagna, a fare delle operazioni.
Non ci riusciva … la maestra gli si avvicinò e gli domandò la tabellina … diciamo del 6 … quante volte l’avevo sentita pure io quel ritornello:
”Sei per uno sei; sei per due dodici; sei per tre … un pezzo l’avevo imparato pure io.
Michele arrivò fino a sei per sei trentasei, “sei per sette … sei per sette … sei per sette” …
Si avvicinò la maestra “ e sei per sette ? – disse - “sei per sette?”- gridò …
“Sei per sette … sei per sette …”
“Sette bacchettate in mezzo alla mano!” …
Michele voleva tenderla la mano per ubbidire e ma anche tirarla indietro per non subire …
“Stendi la mano!” gridò.
Michele si decise, ubbidì e …paf, paf, paf … sette bacchettate che manco ad un mulo … ad un asino …
Io là vicino tremavo manco fosse mia quella mano.
Guardavo e pensavo: “Ma comme! Michele, ma pecchè non nge dà ‘na vuttata, ‘a sbatte pe’ ll’aria? … nun se puteve purtà a bbacchetta d’ ‘o mulo ? … ”.
“Ma come! Michele, ma perche non le dà uno spintone e la sbatte per aria ?… non poteva portarsi la frusta del mulo … ”.
Ci sono rimasto per 5/6 mesi in quella classe, che mi insegnò ad odiare la scuola e, soprattutto, le maestre.
Correvano gli anni 40. Tanta gente firmava con la “croce”.
La signorina Elisa, lei sapeva scrivere !

domenica 23 settembre 2012

LA SIGNORINA ELISA Antonio de Curtis

Si chiamava signorina Elisa; della schiatta nobile del paese; maestra elementare; zitella, avvizzita nei suoi quasi 50 anni – a 50 anni allora si era vecchi, vecchi proprio – forse senza mai conoscere uomo: noblesse oblige.
Fine degli anni ‘30. Una piccola scuola di un paesotto di contadini e tagliaboschi. Quella mattina non era particolarmente arrabbiata, la maestra; finché Nanninella nell’ultima fila non chinò la testa sul banco e prese a dormire.
Quando se ne accorse, brandì la sua”riga” passò silenziosa tra le due file di banchi la raggiunse e la “svegliò” con due colpi sulle spalle.
La ragazzina saltò al primo colpo e cercò di parare il secondo.
Nanninella quella mattina, come le altre mattine, si era alzata alle tre, aveva accompagnato la mamma in montagna, aveva mietuto con lei, con lei s’era fatto il fascio di fieno, se l’era issato in testa e l’aveva portato a casa. A tempo per lavarsi il viso, mettere il grembiule e le scarpe e andare a scuola.
La signorina Elisa, tutta soddisfatta se ne stava tornando alla cattedra quando inciampò nel penultimo banco e per non rovinare per terra si afferrò al primo banco della fila.
Ma … ma sul banco c’era la penna, e la penna di quei tempi era un’assicella di legno con un “pennino” montato in punta … il pennino le si infilò nel dito …
Con un urlo di dolore, il dito sanguinante prese a menar botte ed inveire contro la bambina che occupava quel posto.
”Crape, crape ma che ve ce mannena a ffà a scola ?, che ve ce mannene a ffà ? … jate ‘a muntagna !… a muntagne …. vi odio! vi odio!”
”Capre, capre ma che vi madano a fare a scuola ? che vi ce mandano a fare ? … andate alla montagna! … alla montagna! …. vi odio vi odio!”
E continuava a menar rigate … finché non pensò che si doveva fasciare il dito.
Ragazzine di 3° elementare 10, 11 anni, che s’affacciavano a sbocciare …
La signorina Elisa, zitella sgubbatella, sorella del dottore, figlia del marchese.

sabato 22 settembre 2012

Le parole che non so dire (ed.2012 copyright by Am Vezio



Le parole che non so dirti
negli attimi importanti
quando nel tuo cuore affogo
e tu in me muori
Nel momento in cui tu cadi
e ti abbandoni nel mio ventre
resti, agonizzi e ti addormenti
e ritorni a vita nuova
Ed io terreno gaio e vivo
ti accarezzo e ti regalo
tutta questa mia esistenza
e sciogliendo gli occhi
miei nei tuoi
ti offro la certezza
che quei passi dentro all’anima
sono i giorni della vita.


Io e l’angelo Premio "il Saggio" 2012

 Ti ho dato da vedere
azzurri mari e prati verdi
e i colori delle notti
delle estati e degli inverni
Ti ho dato da gustare
frutti dolci e amari semi
e carezze lussuriose
e gemiti nel buio
E sorrisi di neonato
ed urla ed ossa rotte
e poi il sollievo
Ti ho dato da vedere
le ombre oscure nel mio petto
le speranze e le vittorie
e i pianti e le risate
I dolori dei miei parti
e i vagiti dei miei figli
Ti ho dato da vivere
le angosce ed i dolori
le gioie e i miei amori
e tu mi hai compensato
tingendo tutto dei colori
dello spazio e dell’eterno
Io e te, una cosa sola
e l’un l’altro ci doniamo
quei passi della vita
che completano l’arcano
Un giorno sarò io
la stessa essenza tua
e tu la mia
Avremo preso
l’un dall’altro
il percorso sulla strada
che insieme abbiam scavato
appoggiando il piede io
sui solchi della terra
con tutti i suoi profumi
e sul volo delle ali, tu
sfrangiando nubi e cieli
in spazi senza fine.

venerdì 14 settembre 2012

antonio fatiga L'inafferrabile sogno. // Nene dei Sogni Non amerò più


Non ti vidi mai una sola volta,
ma infinite volte ti sognai laggiù...
tra i templi epocali d'Egitto,
tra i giochi dell'antica Grecia,
tra i giardini della Babilonia,
tra le Dantesche immagini del Paradiso.
Non voglio saper quanti anni hai...
nè quel che fai.
Tuttavia, in una notte di armonia,
è sorta l'inafferrabile idea...
accostare la luna e farla mia.
Prigioniero di un luccichio nel buio,
come un falco al di sotto dell'immenso cielo,
ascolto i segreti del vento e dimoro...
sui ricami di un mantello scuro e il miele di un cuscino.
Oh, se in questo mondo fantastico,
in codesto tempo sognato...
ci fossi anche tu.
Sarei pronto a vivere da birbante ...
nel tuo esser monella di luna.
giocare con te nel mistero dell'antichità...
miscelando gli odori e i colori della notte.

Antonio Fatiga. Diritti riservati.


Non amerò più

Non amerò mai più così
con il cuore che batte forte se solo, ti penso
il viso che si colora di rosso se le tue dita mi sfiorano,
il corpo che freme se mi attiri a te.
Mai più amerò così
come se fosse la prima volta,
aspettando alla finestra il tuo arrivo,
prendendo in mano il telefono ogni istante,
con la nostalgia di te
appena varchi la mia porta per andar via.
Non amerò più così
ascoltando il cuore e non la mente,
dando vita ai miei sensi e all'emozioni
vivendo ogni istante,
vivendoti per il tempo che sarà...

2012©tutti i diritti riservati

mercoledì 12 settembre 2012

GERMOGLIO UMANO Tre haiku di Vittorio Fioravanti



 I

Rigonfio ventre
di palpiti vitali
Germoglio umano

II

D'oscura "orquídea"
l'essere partorito
s'apre al risveglio

III

Bruno mulatto
contro il cielo di luglio
frange il suo grido



Caracas, 8 luglio 2008

martedì 4 settembre 2012

Amore … Nene dei Sogni

Cos’è l'amore?
E' respirare insieme la vita
un canto di cuori che battono cercandosi alla luce della luna,
che illumina le anime innamorate.
Amore
quante frasi
quante poesie e canzoni
vissute intensamente
lacrime e sorrisi
e baci splendidi nel sole
volando sulle nuvole
giorni che passano
senza accorgersene
ricordi su ricordi
destinati a far nascere gioia
o pianto...
Amore
solitudine e malinconia
abbracciati a un cuscino
gli ultimi odori sulla stoffa
un tiepido calore
tutto riporta a te
e dire "mi manchi "
o "dove sei"
fa male all'anima
in questa notte che non finisce più...

2012©tutti i diritti riservati

lunedì 3 settembre 2012

Ecco come vi AMO...

Buonanotte Amici dell'Incanto del Vivere. A domani, con tutti nostri dolori e le nostre gioie, i nostri scarti e le nostre essenze, i nostri strascichi (che speriamo restino incollati al passato) e quelli che abbiamo lietamente salutato in un tramonto d'estate. A tutti i nostri rimpianti e a tutti i nostri momenti che in leggerezza hanno salutato l'onda complice di un nostro dolce segreto, e a tutti noi che mestamente ci accompagniamo in un letto solitario, ed al sogno consegniamo illusori arcobaleni e colori veri. A tutti noi così diversi e così uguali, veri nell'essenza, a tutti noi anime della stessa matrice, io auguro in fraterna corrispondenza: Amore e solo Amore, comunque sia, qualunque volto abbia, ma che sia Amor perché Egli ha un Solo ed Unico Volto: il Volto dell'Amore che per essenza primordiale, mai potrà Tradire. Anime pulite e di Amore temprate, Amore e Sempre Amore ad Amore ci conduca, stanotte e dopo, e domani e all'ora dell'alba e di ogni attimo per il Sempre!
Vi amo!

Un'Alchimia copyright by Maurizio Trapasso

Un'alchimia
la leggenda dei tuoi baci.

Ed un cielo che eccelle
in lenzuola nauseate
per sequestro di un'ambra
che indurisce il tiepido
e dritto ardore per i ricordi.

Una cattedrale
le tue dita
ed il muschio nell'equazione delle tue carezze
della quale solo tu ed io
sapevamo la formula.

Si sciolse
fino al centro del sapore
e come foglie di bandoneon
si disidratano in te,
come genuino proprietario
del mio niente

© Maurizio Trapasso - 03.09.2012
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G I A N M A R I A - D. in arte Antonio de Curtis -

Questii cosi infernali che condizionano così tanto la vita della gente.
Parlo in particolare dei social network. Io che ero abituato alla piazza di paese dove ogni volta che parlava qualcuno lo potevi guardare in faccia !
Era il 12 luglio e entrato in Face Book trovo la segnalazione del compleanno di un ex alunno: il suo diciottesimo compleanno.
Come usavo con tutti gli postai 4 righe d’auguri, sottolineando il fatto che da quel giorno, entrato nella maggiore età, era sì più libero di se stesso, ma ciò comportava anche un grande assunzione di responsabilità.
Di solito rispondevano con un “mi piace” a commento o con una risposta del tipo “Grazie, Prof!”
Gianmaria volle farlo contattandomi in chat.
Mi ringraziò, facendomi anche dei complimenti.
Gli chiesi dei suoi studi, dei suoi amori, dei vecchi compagni.
Mi rispose con la franchezza che gli era solita. Ed anche con una maturità che certamente non aveva a 13 anni.
Ricordammo episodi della nostra vita comune, ridendo di certe situazioni e chiosandone altre. Mi parlò con entusiasmo ed orgoglio della sua vita attuale, dei suoi studi e del suo lavoro: “faceva il trasporto di pizze col motorino”; era un po’ impegnato, però solo di sera, ma guadagnava abbastanza da potersi pagare gli sfizi e le necessità di un ragazzo di 17 anni.
S’era persino comprato un motorino nuovo, mi disse.
Ritrovai quella educazione, quel rispetto, quella voglia di fare da sé, che avevo notato crescere nei 3 anni di scuola media trascorsi insieme. Restammo a chiacchierare, chattare per quasi 2 ore. Poi si accorse che il dovere lo chiamava da qualche altra parte. Mi disse:”Professore vi devo lasciare, ma vi posso chiedere una cosa? Una cosa che volevo fare da tanto tempo … “
Naturalmente gli dissi di sì
Mi rispose:”Professore, adesso ho 18 anni, vi posso chiamare una volta per nome: Mimmo ?”
“Mimmo” era il nome con cui mi chiamavano i colleghi a scuola.
Mi aveva commosso. Naturalmente gli risposi di sì.
Mi rispose: “Grazie, Mimmo! Alla prossima.” e chiuse la chat.